Ah i convegni! Che bella invenzione! Tra i più interessanti vi sono quelli dove un manipolo di “esperti del settore” propinano mirabolanti soluzioni agli incancreniti problemi che attanagliano la Sanità.
Ne ho (purtroppo) sentiti troppi nella mia vita. Non potevo esimermi dal farlo come segretario regionale del sindacato dei medici ma ogni volta che uscivo da questi consessi mi sembrava di respirare l’aria dell’alta montagna anche se ero nel più puzzolente incrocio cittadino.
Uno di questi eventi, di cui hanno parlato i mensili delle Parrocchie e qualche libello a diffusione collinare è stato quello organizzato da un partito politico e a cui sono stati invitati illustri esponenti del mondo accademico e della Sanità Regionale.
Due nomi tra tutti: il Rettore dell’Università del Piemonte orientale e il Direttore Regionale dell’Assessorato alla Sanità.
Il Rettore durante il convegno ha espresso il suo pensiero in merito alle soluzioni per risolvere il problema della carenza di medici nelle corsie degli ospedali.
Una delle richieste, pressanti, fatte dai sindacati è quella di “sbloccare” i medici specializzandi che sono quasi a esclusivo servizio delle Università e di aumentare i posti nelle scuole di specializzazione (soluzione che darebbe i suoi effetti solo nel medio-lungo termine).
Ecco il pensiero del Rettore:
Aumentando i posti nei corsi di specialistica reclutiamo gli scarti che non riuscivano a passare i test, avendo nei reparti specializzandi che non sanno neanche visitare un paziente
(lo Spiffero https://www.lospiffero.com/ls_article.php?id=65383)
Il Rettore con la mascella volitiva ed il piglio del decisionista è il Dott. Avanzi, Professore Ordinario di Medicina Interna a Novara.
Quale migliore immagine di un Professor “Avanzi” che contribuisce a laureare gli “scarti” che escono dalla Università di Medicina?
Il Prof. Avanzi ha una storia molto simile alla mia: laureato nel 1984, ottiene una borsa di studio nel 1986, si specializza in Ematologia nel 1987 e poi prosegue nella sua carriera clinica e accademica visitando, suppongo, moltissimi pazienti.
Io mi laureo nel 1988 (unica differenza di poco conto: lui a 30 anni ed io a 25), vinco la mia prima borsa di studio in emato-oncologia nel 1989 e mi specializzo in Ematologia nel 1992.
Anche io visiterò moltissimi pazienti.
Immagino che, come me, il Dott. Avanzi abbia visitato e lavorato in ospedale prima di specializzarsi e anche durante la specializzazione.
Prima degli anni ‘90 infatti i medici lavoravano in ospedale senza alcun obbligo di specializzazione; alcuni la conseguivano dopo che erano stati già assunti (come me e moltissimi altri) altri non la avrebbero mai ottenuta.
Tra i più bravi internisti che ho conosciuto ve ne erano molti che non avevano neppure una specializzazione. Avevano solo lavorato, fatto tanta pratica e studiato per conto loro.
E ho conosciuto anche ottimi cardiologi e fantastici ematologi tutti senza specializzazione.
Magari non avrebbero saputo passare un test d’ingresso per mancanza di tempo ma a me sembrava che visitassero assai bene i pazienti.
Dopo gli anni ‘90 è diventata necessaria la specializzazione per partecipare ad un concorso ospedaliero.
Ma dopo i sempiterni tagli delle finanziarie e rovinose riforme sanitarie la quantità di posti disponibili nelle scuole di specializzazione in rapporto ai laureati in medicina è diventato sempre più piccolo con la creazione di un imbuto formativo paradossale: i medici c’erano ma non potevano partecipare ai concorsi senza la specializzazione.
Questo non avviene in altri Paesi (come nella vicina Francia): se ti laurei ti potrai specializzare sempre (a meno che tu proprio non voglia farlo).
A questa situazione già esemplare per la totale carenza di programmazione (di cui è corresponsabile l’Università) si è aggiunta una sorta di usucapione accademica sugli specializzandi. Gli specializzandi sono roba nostra e non li cediamo a nessuno.
Situazione unica in Europa dato che oltreconfine è assolutamente normale che uno specializzando lavori ed intanto si specializzi contribuendo a ridurre il carico di lavoro di tutti i medici (anche e soprattutto ospedalieri)
In Italia ciò avviene solo dopo grandi resistenze del mondo accademico e ciò è stato toccato con mano durante l’emergenza COVID: richieste pressanti di liberare forze fresche sono state sempre rigettate e solo in parte soddisfatte.
Eppure i neolaureati che hanno lavorato con noi durante questi ultimi due anni sono stati bravi. Alcuni di loro erano “scarti” secondo la definizione del Prof. Avanzi: non avevano passato il test dell’anno prima. Eppure ci hanno dato una grandissima mano.
Mi ricordo in particolare due dottoresse: la prima (molto brava a visitare, per inciso) si è prodigata in ringraziamenti perchè le avevo trovato un posto nel corso BLSD dell’ospedale. Con disarmante candore mi disse: “all’Università ti dicono 4 cose sulle rianimazione cardiopolmonare ma non esiste che fai 4 ore di corso ed impari veramentecome rianimare un paziente”.
L’altra dottoressa era invece molto tesa quando abbiamo iniziato a vaccinare i primi 300 pazienti a inizio gennaio 2021: “Mi dovete insegnare come fare un intramuscolo perchè all’Università nessuno ce lo ha fatto fare”
E non erano casi isolati.
Quindi, se un medico dopo 6 anni non sa come visitare un paziente, defibrillarlo o fare una intramuscolo di chi sarebbe la responsabilità?
La zoppicante lettera di precisazioni che il Dott. Avanzi ha inviato alla testata giornalistica è talmente caracollante da essere illeggibile. Solo dopo ho capito perchè: non riuscivo a smettere di ridere mentre la leggevo e l’ipad che avevo in mano non stava fermo.
Ho il rammarico di avere effettivamente usato la parola “scarti” per indicare i medici che non riescono a superare i test di ammissione alle scuole di specializzazione. Ho usato un termine che non intendevo minimamente rivolgere alle persone. Se qualcuno si è sentito offeso, chiedo umilmente scusa e affermo invece tutto il mio rispetto e affetto verso colleghi agli inizi di una professione al cui servizio mi trovo da quasi mezzo secolo.
E’ una precisazione importante: Avanzi non si riferiva alle persone ma agli “alieni” ovvero entità ultraterrene che non rispondono ai dettami della umanità nè anatomicamente nè topologicamente.
Esseri verdi, magari con le antenne, tre teste e quattro chele al posto delle mani. E con un grosso problema: assenza di traduttore. Come può un abitante del pianeta Sconchiglioso Zeta o un Agrajag comprendere il test di ingresso in Gastroenterologia scritto nell’idioma nazionale?
Ecco quindi che il Dott. Avanzi si riferiva a questi esseri e non alle “persone”.
Quindi, cari aspiranti specializzandi, quando incontrerete questi curiosi ectoplasmi mollicci che parlano dalle orecchie ed emettono suoni gutturali abominevoli seduti negli scranni a fianco a voi state certi che sono loro gli “scarti” e non vi potranno fregare il posto in specialità.
4 risposte
Come sempre concordo al 100% con quanto scrivi. Non ho imparato ad “essere” medico frequentando la scuola di specialità, bensì grazie all’atto ed all’esempio datomi da quei Colleghi disponibili a trasmettermi la loro capacità e a far sì che la loro onestà di pensiero divenisse un punto d’onore , pre me, il cercare di raggiungere.
Grazie Gabriele, per sempre mio Capitano.
Un’analisi che condivido completamente. La professione è pratica e la pratica si fa sul campo. L’università non riesce a svolgere un ruolo di innovazione e rilancio del sistema.
Appena mi trovo sottomano uno specializzando del primo anno gli faccio seguire le infermiere perché non esiste al mondo che un medico non sappia mettere una cannula in vena a un paziente
Concordo in tutto. E’ assurdo che un sistema sanitario ( pubblico ) non possa programmarsi le proprie risorse umane ma debba dipendere da una formazione gestita in modo assurdo dagli universitari ( una volta almeno erano baroni…oggi non sono neppure mezzecalzette )