Usciamo per un momento dalle curve della epidemiologia. Ci aspetta un bel tratto rettilineo in cui possiamo guidare il nostro intelletto senza sforzarci troppo. Un tratto di strada diritto infonde ad ognuno di noi maggiore sicurezza di una serie di tornanti in successione.
In ambito scientifico però non c’è nulla di scontato. Il metodo scientifico nasce per avvalorare ipotesi che si possono sempre confutare.
Pertanto, la tenuta di strada sull’asfalto “scientifico” è importante non solo nelle curve ma anche in quelli che possono apparire tratti di percorsi facili e privi di problemi.
Anche sui rettilinei possiamo trovare ostacoli improvvisi, animali che ci attraversano la strada o ubriachi che fanno il salto di corsia e la nostra tranquilla ipotesi iniziale può rivelarsi fatalmente sbagliata.
Sbandare ed uscire di strada porta la scienza fuori dagli ambiti che le sono propri e crea danni enormi non solo alla sua reputazione ma anche alla popolazione.
L’idrossiclorochina potrebbe essere uno di questi rettilinei.
E’ del tutto ovvio che in un momento come questo la ricerca spasmodica di terapie efficaci, o anche solo parzialmente efficaci, sia incessante.
Ma per non finire fuori strada bisognerebbe affidarsi sempre al metodo scientifico che è l’unico a poter dimostrare che un nuovo farmaco, una nuova procedura, un nuovo sistema organizzativo è superiore ad una alternativa standard.
Finora le evidenze scientifiche a favore della idrossiclorochina nel trattamento dei pazienti con Covid-19 non esistono. E molte affermazioni che si trovano sui media sono assolutamente false.
Per parlare della idrossiclorochina partiamo da lontano e facciamo un po’ di storia.
Dall’albero della china al chinino
Il chinino, primo farmaco antimalarico, fu estratto dalla corteccia della china (Quina), albero peruviano il cui nome scientifico è Chincona Officinalis.
La versione più accreditata della sua introduzione in Europa è quella secondo la quale sia stato il gesuita spagnolo Bernabé Cobo a portarla dai suoi viaggi nella America del sud. In passato infatti il chinino veniva denominato pulvis gesuiticus.
Nel 1906 il Lancet ne descrisse l’importanza rendendo merito a questi religiosi1. Questa sostanza ed i composti chimici che vennero isolati successivamente ebbe un ruolo fondamentale nel combattere la malaria, la febbre gialla ed anche altre patologie infettive.
E’ stata anche un’arma decisiva in campo militare: gli inglesi non avrebbero mai potuto conquistare l’India nè gli olandesi l’Indonesia se non avessero avuto a disposizione il chinino.
Il chinino veniva esportato via mare dal Perù, ma durante la guerra di secessione americana il rifornimento di chinino agli Stati del Sud era stato tagliato dalla marina del Nord che aveva il dominio del mare. Così un grande numero di soldati del Sud morirono di malaria, o combatterono malati e con la febbre alta. Gli storici hanno valutato che ogni tre soldati uccisi in battaglia altri cinque morirono di malaria, ed erano prevalentemente soldati del Sud2.
Alla malaria ed al chinino (ma anche alla febbre gialla) si lega uno dei più grandi disastri infrastrutturali della storia. La creazione di un canale in corrispondenza dell’istmo di Panama non si rivelò una sfida per la barriera geologica da affrontare ma per una sottovalutata barriera “entomologica”.
Nel 1878 la Colombia diede alla Francia la concessione per costruire il canale di Panama. I lavori furono affidati allo stesso ingegnere che aveva fatto costruire il Canale di Suez ed iniziarono nel 1881. Tale impresa si rivelò un disastro di proporzioni gigantesche. La febbre gialla e la malaria decimarono le maestranze. Delle decine di migliaia di lavoratori impiegati, l’85% vennero ospedalizzati e 22.000 morirono.
I francesi abbandonarono il progetto dopo due decenni. Al loro posto subentrarono gli americani (1901) che risolsero il problema grazie ad una delle più estese opere di bonifica3 che si ricordino ed alla scoperta della zanzara vettore della febbre gialla (Aedes aegypti)4 5. A tutti i lavoratori venne data obbligatoriamente e profilatticamente una dose giornaliera di chinino.
In Italia, nei primi decenni del XIX secolo, i centri abitati vicini alle zone paludose erano flagellate dalla malaria. Venne così distribuito il chinino gratuitamente a tutti i lavoratori che operavano in queste zone ed ai poveri, oppure venduto a bassissimo costo. Il chinino di Stato era disponibile in tutti gli spacci di Sali e Tabacchi del Paese ed era prodotto dal Monopolio di Stato di Torino.

I chimici (tra cui Pasteur) cercarono di isolare il principio attivo del chinino.
Questo principio attivo è la chinina la cui formula è la seguente:

Nascita dei derivati della chinina
In considerazione degli alti costi di produzione la Bayer, negli anni ’30 produsse dei derivati di questo composto tra cui i più importanti erano la clorochina:

e la idrossiclorochina:

Non a caso pertanto, durante la II guerra mondiale le truppe tedesche ed italiane di stanza in Africa disponevano di tali composti prodotti dalla Bayer. Gli americani invece utilizzavano la chinina prodotta nelle colonie olandesi (principalmente in Indonesia). Dopo la sconfitta dei tedeschi in Africa del Nord gli americani misero le mani su un deposito di farmaci italo-tedesco a Tunisi. Una volta fatti analizzare ne iniziò la produzione massiccia risultando fondamentali per la guerra nel Pacifico.

Dopo l’attacco di Pearl Harbor, infatti, il Giappone aveva occupato le colonie indonesiane dell’Olanda privando le truppe americane del chinino. E’ documentato che le morti provocate dalla malaria tra i soldati americani nella fase iniziale della guerra del Pacifico furono superiori a quelle provocate dalle battaglie contro l’esercito del Sol Levante. Gli americani furono così obbligati a scegliere farmaci antimalarici alternativi o a tentare di sintetizzare la chinina. La clorochina, la quinacrina e le altre molecole simili sulle quali avevano messo le mani alla fine della guerra in Africa, tutte di facile produzione industriale, erano quindi state fondamentali nel prosieguo della guerra6.
La clorochina (ed il suo derivato idrossiclorochina) divenne commerciabile negli USA dal 1956.
Il suo utilizzo nelle zone malariche è stato massiccio ed ha salvato milioni di persone. E’ ancora utilizzata profilatticamente per chi viaggia in zone malariche in cui non si sia manifestata la resistenza al farmaco da parte di ceppi di Plasmodium falciparum, il parassita responsabile della malattia.
L’uso come farmaco immunomudulatore e antivirale
La clorochina evidenziò ben presto proprietà immunomodulatorie tanto da essere utilizzata anche nel trattamento di patologie autoimmuni come l’artride reumatoide.
Per questa patologia la clorochina ed il suo analogo idrossilato, la idrossiclorochina, hanno rappresentato un valido ausilio terapeutico dato che essa ha dimostrato di poter rallentare tale patologia con una limitata tossicità7.
Altri usi approvati di questi farmaci, come desumibili dalla Banca Dati UpToDate di aprile 2020, sono per patologie come il lupus eritematoso, la dermatomiosite oltre che vari impieghi off-label per altre patologie autoimmuni.
Il farmaco è balzato agli onori delle cronache dopo la pubblicazione di un gruppo francese che ne ha saggiato l’efficacia sui pazienti affetti da COVID-19.
L’origine dell’interesse verso tale farmaco risale alla epidemia di SARS del 2003 e a quella di MERS, ambedue provocate da virus della stessa famiglia dei coronaviridae. Gli studi effettuati in vitro (cioè in laboratorio) avevano suggerito la efficacia del farmaco nel ridurre la replicazione virale di queste patologie8.
Se verificate la voce bibliografica troverete che l’idea di usare la clorochina contro il coronavirus della SARS fu lanciata da Andrea Savarino nel 2003, successivamente ricercatore all’Istituto Superiore di Sanità, attraverso la rivista scientifica Lancet Infectious Diseases.
Il meccanismo di azione di questa classe di farmaci pare risieda nella capacità di inibire alcuni passaggi che i virus richiedano per moltiplicarsi all’interno della cellula, oltre alla funzione immunomodulatoria sulle citochine prodotte in risposta alla infezione virale.
Anche nella infezione da HIV-1 la clorochina/idrossiclorochina ha dimostrato una capacità di ridurre la replicazione “in vitro”.
Insomma le premesse c’erano tutte. Il “razionale scientifico” era adeguato. E quindi la sperimentazione era doverosa.
Ma la sperimentazione va fatta con rigorosi criteri….
- Blackwater fever due to administration of Quinine . Lancet 1906 ↩
- https://www.scienzainrete.it/articolo/storia-della-clorochina-e-dei-suoi-antenati/adriano-zecchina/2020-04-07 ↩
- https://www.cdc.gov/malaria/about/history/panama_canal.html ↩
- https://www.nationalinsectweek.co.uk/news/mosquitoes-and-panama-canal ↩
- Pierce J.R. & Writer, J.V. (2005) Yellow Jack: How Yellow Fever Ravaged America and Walter Reed Discovered its Deadly Secrets. John Wiley and Sons ↩
- https://www.scienzainrete.it/articolo/storia-della-clorochina-e-dei-suoi-antenati/adriano-zecchina/2020-04-07 ↩
- Canadian rheumatology association Canadian Consensus Conference on hydroxychloroquine
J Rheumatol, 27 (2000), pp. 2919-2921 ↩ - A. Savarino, J.R. Boelaert, A. Cassone, G. Majori, R. Cauda
Effects of chloroquine on viral infections: an old drug against today’s diseases?
Lancet Infect Dis, 3 (2003), pp. 722-727 ↩ - WP Tsai, PL Nara, HF Kung, S Oroszlan
Inhibition of human immunodeficiency virus infectivity by chloroquine
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